giovedì 22 agosto 2013

I visti

Entrare negli Stati Uniti per lavoro non è una cosa semplice, a meno che non andiate con una relocation sponsorizzata da una graaaande compagnia statunitense. Innanzitutto occorre avere già un lavoro per andare a lavorare lì, si, lo so che sembra assurdo, ma alla fine della storia è questo il segreto per andare a lavorare da loro. Una volta che una graaaande compagnia vi invita a trasferirvi oltreoceano, non dovete far altro che lasciarvi trasportare dalla corrente di eventi che si sviluppa mano mano. La tappa finale di tutto questo che precede la partenza vera e propria è l'ottenimento dei visti da lavoratore, L1, o da accompagnatore/trice L2. Si prepara tutta la documentazione e si prenota on line una visita (di persona personalmente) in ambasciata. Per noi già essere lì, davanti alla bandiera stelle e strisce, voleva  dire che avevamo oltrepassato il punto di non ritorno: stavamo lasciando l'Italia per gli Stati Uniti di America. La consegna dei documenti è stata veloce, poi per l'intervista abbiamo dovuto aspettare due ore circa. Davanti a noi, nell'arco di dure ore, lo spaccato dell'umanità degli anni 2000. Una signora di origine marocchina andava a far visita a parenti, visto concesso. Due cittadini iraniani desideravano andare a visitare la California, provenivano da Teheran e chiedevano il visto turistico in Italia, visto negato. Una studentessa, lo stesso di provenienza Iraniana, visto negato. Due ingegneri meccanici italiani, un avvocato italiano, un dentista italiano e noi, visto concesso. Qualche giorno dopo arrivano i visti stampati e incollati sul proprio passaporto direttamente a casa, previo pagamento al corriere. Ah, dimenticavo che la sola concessione delle visita in ambasciata prevede il pagamento di un obolo di circa 190 dollari pro capite, mentre una volta lì, se si fa parte di una graaaande compagnia che usa trasferire, si lascia una donazione di 500 dollari. Come vedete, occorre avere un lavoro per cercare lavoro in USA.
A presto.

martedì 20 agosto 2013

L'inizio

Archiviate le ultime vacanze Italiane, inizierò a raccontare tutto dall'inizio. Era un giorno di aprile e mi godevo sotto le coperte la mia broncopolmonite con quasi versamento pleurico, quando arrivò da oltreoceano una mail dal tono molto amichevole diretta a mio marito che lo invitava a valutare una esperienza all'estero come manager, si trattava di un trasferimento  intra aziendale. Alla mail amichevole corrispose una risposta altrettanto amichevole e positiva. Da lì si scatenò un periodo di eventi a cascata in cui rimanemmo sommersi fino alla partenza.  Tuttavia decidere se intraprendere questa avventura non fu molto facile; lasciare la nostra vita in Italia sembrava un gioco da ragazzi ma non era così, i legami famigliari, gli amici, i luoghi non solo nostri ma anche dei bambini avevano un peso non indifferente. La loro vita stava cominciando a prendere forma, nonostante la giovane età, e a noi sembrava una cattiveria recidere sul nascere quei legami affettivi che si sarebbero potuti trasformare nelle amicizie di una vita. Tuttavia, l'idea che avrebbero potuto imparare una lingua straniera da madre lingua ci allettava, soprattuto in previsione di un loro futuro in cui non avrebbero avuto questo handicap come i loro genitori. Superati questi indugi il resto venne da se.